Ch. I ~ The old, The new, The beginning

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    The time for sleep is now
    It's nothing to cry about
    Cause we'll hold each other soon
    The blackest of rooms

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    Tutto attorno è nero.
    Nero è il seme nel cuore della mela, quando cade a terra e il succo pallido ferisce l’aria immobile e la buccia si spezza in una ferita indolore. Nero è il fremito delle ali di un corvo, quando se ne va senza promettere di tornare, lasciandosi alle spalle il saluto di un verso roco, la cosa più simile a un pianto che sia rimasta. Neri erano i tuoi occhi quando mi guardavi, tremavi, scuotevi la testa. Avevi paura e non avevi bisogno di dirmelo. Nero era il mio bacio sulle tue palpebre, uno per ciascuna, che le sfiorava appena, un bacio di buona notte anche se non c’era alcuna notte ad aspettarci. Un bacio di addio anche se non c’era nessun viaggio che valesse la pena di intraprendere insieme.
    Tutto attorno è bianco.
    Bianco era il tuo abito quando sognavi di essere donna, che ti avvolgeva sullo sfondo del balcone, sulla scena della città in fermento, con il riflesso d’oro delle lanterne dentro il tuo sorriso. Bianco è quando dicevi di essere felice e lo dicevi a capo chino per non farmi vedere le tue bugie, perché non volevi che piangessi una lacrima salata come quelle che fingevi fossero pioggia. Bianco è la schiuma nel mare dei sogni la prima volta in cui la mia anima ha saputo di esistere, un rumore monotono e sordo, più monotono e sordo dei battiti scabrosi del tuo cuore.
    Tutto attorno non è niente.
    Tutto al centro sei tu. Il tuo viso. Le mie mani. La tua consapevolezza.
    Tutto attorno è la mia rabbia. La mia rabbia oltre i confini del tuo piccolo mondo che non riesci più ad abbracciare.
    E resto solo io.
    Tutto non ci sei più.



    ....

    Chiude gli occhi.
    Apre gli occhi.
    Si stropiccia gli occhi con i pugni macchiati di inchiostro e fuliggine, lascia che la vista riacquisti tutta la nitidezza che gli resta. Borbotta improperi di cui non conosce il significato. Alza la testa.


    È questa ti dico”.


    Incrocia le braccia sul petto, la pelliccia che rende impacciati i movimenti, mentre fuori il vento grida gettandosi tra le crepe nel muro.


    Lo hai detto anche l’ultima volta, vecchio”.


    Lui non è vecchio, ma non perde tempo a correggere quello che tra loro è diventato un gioco disperato. D’altro canto l’uomo alle sue spalle è schifosamente giovane, forse non ha neppure altri peli a parte quei ridicoli baffi rossicci, più simili ad un’ombra di imbarazzo, sopra le labbra.


    Non è come l’ultima volta”.


    Chiude gli occhi.
    Stringe gli occhi.
    Ricorda l’ultima volta. Storce la bocca.
    Si stringe le braccia al petto, cercando di soffocare il freddo.


    Tanto non sei tu a prenderlo nel culo”.
    Fa una piccola pausa, riflette. Quando si concentra gli si forma sempre una ruga in mezzo alla fronte lentigginosa. Un giorno diventerà un solco e sarà uguale a suo padre.
    Nemmeno io, in effetti”.


    Ride, ma è una risata tesa che muore nel vento. Nessuno ride davvero, in quel luogo. Nessuno ride da molti anni e basta. La gente grida, piange, il vento ulula più forte dei branchi di lupi che annaspano e muoio di fame.
    Eppure quel modo di ridere che pare un abbaiare in qualche modo rassicura l’uomo più adulto. Tra le labbra spaccate dal freddo del suo compagno trova un appoggio. Non è vecchio, si ripete. Ma ogni giorno che passa è più pesante e un giorno sarà troppo pesante per poter camminare fino a quella stanza.


    Com’era? Un piccolo mar-gi-ne di errore?
    Il giovane storpia le parole che non conosce.
    Cerca di non dirglielo, questa volta. Viene da cagarsi addosso a sentire questa robaccia”.


    Di nuovo quella risata, mentre si allontana con i passi pesanti dei suoi stivali foderati di bronzo.



    ....

    fsU1B3L


    Gerta ha i capelli biondi, sporchi di cenere e di fiocchi gelati di neve. Ma ha le guance rosse e gli occhi lucidi che sembrano l’acqua dello stagno prima di pescare. E le sue cosce sono la cosa più tiepida e innocua che lui abbia mai toccato. Più del fuoco, più della pancia sventrata delle alci, più del morso dei cuccioli di cane.
    Anche se quando sono sotto le pellicce insieme fa quasi lo stesso loro guaito con le labbra strette. Gli piace quel suono, gli ricorda la sua infanzia, quando guardava il villaggio da dietro i vetri e pensava che la neve forse di cristallo.
    Non gli fa mai domande, Gerta, anche se lo aspetta ogni volta quando torna dalla caccia, quando apre la sua porta senza annunciarsi. Non gli chiede se sia felice, triste o arrabbiato, non è di sua competenza. Non ha più genitori, proprio come lui, e percorre al suo fianco i pochi passi che separano la porta dal camino, aiutandolo a spogliarsi il mantello dalle spalle.
    È in quel momento che gli viene voglia di lei, ogni singola volta, anche quando vorrebbe solo spogliarsi gli stivali e mangiare qualcosa di caldo. Anche ora, che sta pensando al vecchio, alla stanza piena di strani disegni e al vento che gli mordeva le orecchie e sembrava non voler smettere mai. Nemmeno ricorda quando sia iniziata la tormenta. Ma gli sta bene non potersi allontanare: finchè resta nel villaggio può restare con Gerta, dentro le sue gambe che vengono nutrite regolarmente, con gli occhi dentro il suo petto che sprofonda meglio di ogni giaciglio. E può guardare i peli biondi e sottili sui suoi polacci sollevarsi stupefatti quando alla fine lei urla tra le sue braccia e spalanca gli occhi, l’iride ingoiata dalla pupilla.
    Le bacia le labbra, labbra umide e piene di chi non affronta spesso il mondo. E lei non gli chiede dove sia stato e dove debba tornare, perché sia stato distratto e la abbia sfiorata svogliatamente e cosa farà domani. Non lo supplica di restare. Non si usa così, in quel villaggio, in nessuno dove lui sia stato. Non se sei una fanciulla sola che non può andare a caccia. Gli sorride, e adagiata tra le pellicce gli fa desiderare di non doversi fermare.
    Ma il dovere lo aspetta. O quello o una nuova caccia, impossibile con quella tormenta. Sospira, si gratta il mento dove la barba si rifiuta di crescere folta come quella di suo padre. Si passa una mano tra i capelli, domandandosi se alla locanda ci sarà qualcuno.
    Ma qualcuno c’è sempre, e lui lo sa. Perfino Gerta saprebbe dirglielo, ma solo perché anche lei è lì quando lui è in viaggio. Non che non lo sappia, e nemmeno ne è troppo entusiasta. Ma lei pensa che ogni sortita potrebbe essere l’ultima per lui. E lo pensa solo perché non sa chi è lui. Altrimenti avrebbe molta più paura.



    ¬ Qm Point


    Benvenuti \*_*/
    La quest inizia qui, o meglio ( 8D ) non inizia davvero qui, perchè prima del primo post ognuno di voi avrà la possibilità di giocarsi un'entrata in campo. Per quanto sia ovvio che, come all'inizio di ogni quest, vi ritroverete prima o poi tutti in uno stesso posto (o almeno è probabile, qui qualcuno ci spera diciamo), non sarò io a decidere il perchè o in che momento. Avete a disposizione una sezione privata ciascuno sia per un topic in gdr che per organizzarvi con me in confronto. Per questo vi lascio totalmente liberi: volete partire dal confronto?
    Volete partire con un post in GdR che chiarisca il vostro background? Non è importante. L'unica cosa che rimarrà pubblica (a meno che non vogliate rendere noto agli altri qualcosa nel topic generale di confronto) sarà il vostro post qua dopo il mio.
    Cosa è successo prima? Lo sapranno solo i vostri personaggi.


     
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  2. Stella Alpina
     
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    Da qualche parte in mezzo al freddo, tempo attuale


    La storia che sto per raccontare è una storia strana, la storia di una strana coppia, strana sotto ogni punto di vista. E se sto ripetendo strana in continuazione è perché non mi sovviene nessun altro termine che sia abbastanza strano per essere associato a questi due esseri. Se vi siete già stancati di ascoltarmi non vi preoccupate, andate pure a sollazzarvi in qualsiasi altro modo desideriate perché questa è una storia di cui non frega un cazzo a nessuno, molto probabilmente nemmeno ai protagonisti. Quindi fate quello che volete che tanto questi due sopravviveranno in ogni caso e se tante volte dovessero morire per questo... beh avrete fatto un favore alla comunità. Se invece volete restare e continuare questa strana storia, allora è evidente che non avete un cazzo di meglio da fare e questo dice molto sul vostro status di fancazzisti attuale, quindi continuate a leggere, questa strana storia fa per voi e nei protagonisti forse troverete persino qualche caratteristica in comune che vi farà immedesimare in loro.

    Dunque, questa è la storia di una strana coppia. Goblin lui e orco l'altro, entrambi pelleverde. La storia inizierebbe molto prima, in circostanze spiacevoli da raccontare persino per me che a seguirli ne ho viste di cotte e di crude, ma quella parte ve la racconterò con noiosi flashback di circostanza che non c'entreranno assolutamente niente con la situazione che andrò a raccontare, ma d'altronde che importa, starete già dormendo a quel punto. Quindi, come dicevo, la storia inizia qui. In mezzo al nulla. Con alle spalle un mucchietto di alberi che a malapena si può definire bosco, davanti un villaggio costruito alla come capita e un castello che svetta dalla cima di un pendio, e in mezzo loro due. Cosa stanno facendo? Quello che fanno sempre, arrancano dove possono.
    Wokka il goblin e Grukk l'orco.


    « Ho in tazka l’ezka ed ezko per la pezka, ma il pesce non z’adezka, c’è l’akqua troppo frezka. Konvien ke la finizka, non prenderò una liska! Mi metto in tazka l’ezka e torno dalla pezka! »


    Questo è Wokka. Basta come presentazione? Lui parla così, abituatevi, non ci posso fare niente. Non vi preoccupate di capire bene quello che dice che tanto molto spesso il senso non ce l'ha.


    « Ukhuav up lat idioav, lat makaumn alnej trenot! »


    Questo invece è Grukk. Non lo capirete, non parla il linguaggio comune, parla solo la sua lingua. Al massimo dovrete accontentarvi della traduzione saltuaria di Wokka o estrapolarne il senso dalle risposte del piccoletto, fatevene una ragione. Fidatevi che dice cose sensate, per il più delle volte. Ma se proprio siete dei nerd del cazzo e volete per forza sapere cosa dice andate a cercarvi un traduttore di lingua nera e scopritelo, ma tanto se lo siete lo avrete già fatto e io starò parlando al vento.


    « Oh non zkocciarmi! Zono di buon umore! Zono giorni ke kamminiamo kol kulo gelato e finalmente ci troviamo un villaggio davanti! Un po' di fortuna una volta tanto! »


    Diavolo questa sembrava quasi una frase normale! Però è vero, i due erano vari giorni che viaggiavano in mezzo al nulla e la vista di quel complesso di case con tanto di castello non poteva che essere una buona notizia per loro. Insomma, una locanda, forse un letto, calore, avrebbero rubato volentieri per quella possibilità.
    Un borbottio dell'orco e i pelleverde si mossero verso il villaggio, mentre Wokka riprendeva a canticchiare canzoni imparate chissà dove, tra le bestemmie incomprensibili dell'orco.
    Tutto il villaggio era vuoto, le strade erano libere e a malapena si intravedevano una o due figure erranti ricoperte da enormi cappotti. Dalle finestre occhi curiosi seguivano lo sfilare goffo dei nuovi visitatori dal colore strano, ma nessuno sembrava preoccuparsene più di tanto. Il razzismo per i pelleverde non era ancora giunto in quelle zone evidentemente. Voi immaginateli neri. Fate conto che per la via di casa vostra sfilino un piccolo marocchino e un negrone di quelli proprio scuri alto due metri. Ora, la cosa non vi insospettirebbe? Cazzo, a me sì! E non sono nemmeno razzista, pensate un po' invece se il razzismo fosse arrivato lì!
    Ad ogni modo i due pellenegr... verde, i due pelleverde raggiunsero la locanda senza troppi problemi. Li accolse l'oste rivolgendosi a loro in modo piuttosto gentile. Decisamente ancora niente razzismo in quelle zone. Arriverà, sono arrivati loro quindi... arriverà.


    « Ben arrivati viaggiatori, desiderate mangiare? »


    E' inutile descrivere l'oste, è un oste come tanti altri, di una certa età e con un certo peso. Lo chiameremo Ciccì.


    « Zalve uomo, ziamo eztremamente affamati, quindi zì. »


    Un grugnito d'assenso dell'orco, alta conversazione, e Ciccì li condusse al tavolo per lui più adatto. Nel frattempo gli occhi del goblin saettavano da una parte all'altra della sala per farsi un'idea dell'ambiente e della situazione. C'era un'atmosfera tranquilla e quello lo fece rilassare un poco. Giunsero al tavolo.


    « Accomodatevi e sarete serviti al più presto »


    Ah, qualcosa era stato dato troppo per scontato. Gli occhi del goblin si posarono prima su di una sedia e poi sulla stazza del suo compagno di viaggio, poi di nuovo sulla sedia, poi sull'oste. Un sopracciglio gli si alzò d'istinto.


    « Zpero kuezte zedie ziano più reziztenti di kuello ke danno a vedere o il kulone gratzo del mio kompagno zi ritroverà a terra in men ke non zi dika. Non è piacevole kuando zuccede kredimi. »


    Ciccì dovette rendersene conto perché volò a prendere una sedia più resistente delle altre raccattata da qualche parte dietro il bancone, probabilmente era quella che usava per sedercisi lui. Arrivò anche il cibo e Wokka ci si lanciò sopra come un troll su una vacca zoppa. Che brutta immagine però... scusate, mi sono lasciato trasportare.
    Ad ogni modo, tra un morso e un altro, il goblin si sentì presto osservato. Alzò gli occhi verso la fonte del disagio e si ritrovò un roscio a fissarlo. Niente di strano, se non fosse che gli parve di notare un cenno della testa, oltre al fatto che era roscio ovviamente. Ora, le cose erano tre: o il roscio soffriva di strani tic o era particolarmente attratto dal goblin oppure Wokka stava dando uno spettacolino di maleducazione nel mangiare con le mani. Certo ci sarebbero potute essere altre ragioni ben più valide, ma la mente contorta del goblin aveva partorito solo quelle tre e per di più aveva optato per la terza. Sentendosi estremamente colpevole iniziò a mangiare con le posate, incartandosi nei movimenti, ma solo dopo aver lanciato un sorriso completamente privo di senso al tipo.
    Che ve lo dico a fare, il fascino è fascino e il goblin ne ha, tanto che il roscio si alzò dal tavolo in cui era, congedandosi dal vecchio con cui stava parlando, per raggiungere i pelleverde.


    « Buona sera avventurieri. Siete in viaggio di piacere o in cerca di un ingaggio? »


    La parlata da roscio aveva distolto l'attenzione dell'orco dal piatto, non tanto la presenza dell'uomo al tavolo, quanto più il fatto che fosse realmente roscio.


    « Whaav avhe nauk-d kok wanavuk? »


    La mano del goblin si mosse nell'aria per zittire il suo compagno, la sua concentrazione era totalmente sul nuovo arrivato, una strana eccitazione negli occhi.


    « Ma guarda guarda, la kompagnia non zi fa attendere. Oh no, ziamo giramondo kapitati kui per kazo! Ci ztai per intrattenere kon kualke gioko forze? Oh ti prego noi adoriamo i gioki! Non è vero Grukk? »


    Le sue mani sproporzionate e dinoccolate tamburellavano freneticamente sulla tavola mentre gli occhi gialli vagavano tra il tipo e l'orco sinceramente emozionati e divertiti. Capite? Quanto può essere scemo?


    « Perchè no? Facciamo un gioco, straniero. Lanciamo una moneta: se esce testa ho vinto io, croce avete vinto voi. Se esce testa per tre volte ascolterete una mia proposta. »


    E che mai si può fare con uno scemo? Lo si prende per il culo. Come fanno sempre tutti, anche io. Wokka aumentò il ritmo del tamburellare già inizialmente frenetico delle mani sul tavolo e il sorriso si allargò.


    « Zi zi mi piace!!! Tira, tira i zoldi! »


    Vi immaginate la scena? Wokka che viene accontentato con un gioco e per di più con dei soldi di mezzo? Era nel paese delle meraviglie. Il roscio tirò fuori una moneta e la mostrò, sotto lo sguardo perplesso dell'orco, poi la lanciò in aria. Tre volte roteò davanti a tutti e tre volte uscì testa.


    « Si direbbe sia la mia serata fortunata. Si dia il caso che abbia bisogno di compagni per un viaggio. Oggi è un giorno importante e per svolgere il mio compito ho bisogno di avventurieri...importanti. »


    L'attenzione del piccoletto era ancora sulla moneta, lo sguardo spento e deluso. Qualcosa non aveva funzionato. Il roscio aveva barato. Il roscio è roscio e il roscio è cattivo o in questo caso barone. Gli ricordò vecchie conoscenze.


    « Bel gioko, bel gioko zenza dubbi! Bravo bravo, mi hai fatto divertire con i tuoi gioketti. Zai, c'era un mio amiko goblin ke faceva le ztetze coze! Ha zmetzo kuando hanno uzato lui kome moneta. »


    Il suo amico goblin però usava una moneta truccata, con due teste, questo roscio invece aveva usato un altro trucco, di tipo ben diverso e Wokka se n'era accorto. Ma la parola di un goblin... non vale un cazzo in genere ma quella sua diciamo che vale un po' più dei soliti goblin. E' un tipo strano lui.


    « Di koza ztai parlando umano? Zii kiaro. E zoprattutto, koza ti fa kredere ke ci potza interetzare? »


    Oh, ora... il roscio è davvero strano in genere, è proprio il colore che porta stranezza, ma questo lo era più degli altri. Wokka si impegnò parecchio nel capire cosa stesse dicendo ma quello che capì fu più o meno questo:


    « &$%£ (//&$ %% £%"£ "" &$& /!! &&&££$£. 3%"%£ 34& 6&$6 /84$£% %&& £"363 £%& /??£. E chi accetta la sfida viene pagato profumatamente. In anticipo. &££ &£//$(352 &&£63 6"!!% &£$&"&"&. »


    Il goblin si era proteso in avanti, forse per la prospettiva dei soldi o forse proprio per cercare di capire meglio.


    « Parla kome mangi uomo. Coza dobbiamo fare e zoprattutto kuanto verremmo pagati. Niente ztorielle, zii chiaro ho già detto. »


    « Cosa dovete fare non è qualcosa che posso dirvi ora. Combattere, difendere, cacciare. Ma vi assicuro che se porterete a termine il vostro compito verrete compensati con tanto oro quanto pesate. Entrambi. »


    Ed ecco che come tutti anche il roscio li prendeva per il culo. Se non altro l'avvicinarsi del goblin era servito a capirlo meglio e a notare la battutina finale. Wokka strinse gli occhi, il labbro gli si storse palesemente.


    « Parli di nulla uomo. Non ci dici kontro ki bizogna kombattere, ma zoprattutto prima parli di pagamento anticipato e poi parli di pagamento al termine del kompito. Kuesta koza mi puzza. Tu mi puzzi! Il pelo rozzo puzza zempre! Mai fidarzi del pelo rozzo, zoprattutto kuando ti inganna dall'inizio. »


    E prese a rifare freneticamente il gesto che il rosso aveva fatto nel lanciare la moneta. Nella sua testa quel gesto aveva totalmente senso, nella sua testa però.


    « E poi koz'è kuezta dizkriminazione? Pagamento a pezo? Ti zembro pezare tanto io? Vuoi forze dire ke i zoldi li guadagnerei zolo grazie al pezo di Grukk? Mpff, tu mi inzulti dico io! E a me non piace kuando la gente mi inzulta! »


    Aveva ragione, potete forse negarlo? Però ammetto che quella battutina del roscio mi ha strappato qualche sorriso nascosto a sentirla. L'orco in tutto questo aveva seguito la scena senza intromettersi più di tanto, a parte qualche sbuffo qui e lì.


    « Questi sono i termini dell'accordo, se ti va di stringerlo. Dopo tutto, £%="/% )£%=?£" /£)&? /£&%)"? £=(&" )&?" )£/&?(£&?^ /)£&&7=386308 /&£ E£???£(&?(=?(=£(&?(£&=£&=^ ^£& 0ì033 kf3ì=ìlfì308^=(&£.
    Se sarete interessati, mi troverete ancora per un po'. Fino al momento opportuno.
    »


    E' chiaro che il problema non era la distanza, niente affatto. Il goblin lo guardò con sguardo assente, poi scambiò qualche battuta in orchesco con il compagno. Non le riporto, tanto neanche quelle capireste, fate conto che hanno discusso. Poi l'attenzione del goblin tornò sul roscio.


    « Non ho kapito un catzo di kuello ke hai detto. Ad ogni modo, pagamento anticipato di una parte conziztente della rikompenza e avrai ciò ke cerki. »


    Il roscio sembrò soddisfatto, raccomandò loro di restare nei paraggi e disse che li avrebbe chiamati a tempo debito. Poco male, avevano trovato un ingaggio. Il che voleva dire soldi in arrivo, forse. Non si era ben capito. Ma almeno potevano sperarci e se c'era da menare le mani anche meglio. Tanto lo facevano anche a prescindere dai soldi. Erano pellenegra.
    Wokka stava ancora riflettendo su quello che aveva capito della discussione quando la sua attenzione cadde sul vecchio che era seduto prima col roscio. Ora stava tartassando una ragazza e una enorme curiosità prese spazio nei suoi pensieri. Una curiosità che doveva assolutamente soddisfare. Lasciò Grukk al tavolo a mangiare e raggiunse il vecchio alle spalle.


    « Ankora ti zi alza vekkietto? Penzavo ke alla tua età i gioki fotzero belli ke finiti! »


    Un bell'occhiolino alla donzella mentre prese a mostrare la mano piegata in basso lasciandola moscia e scuotendola lievemente da un lato all'altro. Il vecchio non parve scandalizzarsi troppo e rispose gentilmente.


    « Ecco un'altra vittima del destino. Mio caro, la mia fede mi basta per non aver più desideri carnali. Cerco conforto nelle case delle donne per motivi personali che son ben lontani dalle vostre maliziose frasi. »


    Si sedettero ad un tavolo su invito del vecchio che con la mano magra indicò il roscio.


    « E' la sua serata fortunata... e il futuro trema giovane compare. Mi prendo la briga di chiamarti così perché bla bla bla bla bla bla bla bla bla Te lo dico come alleato perché bla bla bla bla bla bla bla. Siamo legati da un destino ancora oscuro alla mia vista.
    bla bla bla bla bla? blalbalbalballblablalblaa ? Bla bla bla.
    »


    Ve lo giuro, ora il goblin era davvero perplesso. Tentò di interpretare a modo suo le frasi e ne uscì qualcosa.


    « Kuindi ha atzoldato anke te? Ze prima avevo dubbi zul tipo di kompito ke ci azpetta ora ne ho ankora di più! Ke razza di kompito può rikiedere un goblin, un orko e un vekkio? »


    Oh, questo aveva capito, se era sbagliato pazienza.


    « Bla bla bla bla bla bla bla. Bla bla bla bla blablalbalbalballbla blalblaa Bla bla bla bla bla blabblalblabla. »


    No era troppo. Fanculo al vecchio.


    « Ma kome katzo parlate in kuesto posto? Dove zono finito? Zono zikuro ke andate d'akkordo te e pelo rotzo. »


    Si premette le mani sulle tempie per cercare di ragionare ma era tardi, ormai aveva il mal di testa.


    « Oh ma non mi fregate voi lingua lunga, eh! Intanto la kamera la metto zul konto di pel di karota. Ke la pagatze kon kuella moneta kon kui me l'ha metzo al kulo! Bazta torno a mangiare. »


    Avevo detto la sua, ma mancava la ciliegina sulla merda.


    « Buona inzakkerata ztanotte vekkio! »


    Ok ora andava bene. Tutto rientrava nel suo stile. Aveva vinto la discussione, ne era uscito con l'onore pulito. Non c'aveva capito un cazzo, ma almeno aveva la coscienza a posto e aveva detto la sua.

    Molto bene, vedo che siete rimasti in pochi a seguire la storia... e pensare che è appena iniziata. Come dicevo, non frega una minchia a nessuno di questi due. E voi che siete arrivati fino alla fine datemi una pausa, dannati nerd succhiastorie, ho la gola secca, ho bisogno di bere un po' prima di ricominciare a raccontare. Fatevi un giretto, ci sono altri nerd come voi qua in giro che sono pronti a raccontare altre storie, vi faccio un fischio quando mi va di continuare. Andate, su su!





     
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    Il vento ululava nella notte e spazzava la piana innevata con la furia di una bestia ferita. La luna, oltre la coltre di neve che mulinava nell'aria, era a stento distinguibile, un'ombra bianca sperduta nella pozza buia del cielo. Era il tempo in cui gli uomini, atterriti, si stringevano nelle loro capanne davanti al focolare, incoraggiandosi con la reciproca presenza; il tempo in cui gli animali selvatici strisciavano sotto terra o nei loro angusti anfratti, in cerca di un riparo. Persino le stelle, in alto, si erano avvolte in un manto di tenebra per non dover assistere al tragico spettacolo delle sciagure umane, in una notte come quella.
    Era il tempo degli spettri - e uno di loro avanzava nella tempesta.
    La bufera gli imperversava tutt'attorno ma egli non sembrava esserne toccato, come se fosse lui stesso il cuore pulsante di ghiaccio da cui si generava tale potenza annichilante. I fumi del crepuscolo e i vortici di nevischio ne confondevano i contorni, ma ciò che si distingueva era sufficiente a suscitare lo sgomento negli animi più coraggiosi: una figura possente e animalesca che incedeva con l'inesorabilità della morte, due lunghe corna ricurve protruse da dietro il capo, arti gonfi di muscoli e un vivido bagliore di implacabile ira che la candida maschera sul suo volto non poteva celare. Dædryl si fermò un attimo, valutando la distanza che lo separava dalla sua preda: una sagoma ricurva che gli caracollava davanti, a qualche decina di passi, e che proprio in quel momento stava entrando in una macchia di stenta vegetazione. Riprese a camminare, consapevole che l'inseguimento volgeva ormai a termine. Il bosco non era altro che un'accozzaglia di alberi scheletrici e sparuti, scaraventati lì come dannati condannati a scontare una pena. Un sottile strato di ghiaccio traslucido ricopriva le cortecce indurite; le foglie, luccicanti di brina, si sbriciolavano sotto le folate del vento. Riemerse dall'altra parte cercando con lo sguardo la sua vittima: questa ora strisciava nella neve procedendo con esasperata lentezza, mentre si lasciava alle spalle una lunga striscia di sangue. All'orizzonte, oltre il circolo della tormenta, si scorgevano pochi sparuti pennacchi di fumo levarsi verso l'alto, segno di un villaggio vicino.

    « Avreste dovuto portare a termine l'opera. » La voce dello Thauryl era roca, animalesca.
    « Non ho idea di che parli! » biascicò il ferito, gettandosi alle spalle uno sguardo pieno di paura. Dædryl non diede segno di aver udito quelle parole - o se le udì, scelse di ignorarle, continuando nella sua requisitoria: « Dove si è nascosto Ogarth?» « Ti ho detto che non lo so, lo giuro! Ti prego! »

    L'Errante riprese ad avanzare, implacabile, coprendo in poche falcate il tratto che li separava.
    « In tal caso, non mi sei di alcuna utilità. »

    Le parole furono pronunciate come una condanna definitiva: l'uomo bestia poggiò un piede sul capo dello sventurato, caricandovi sopra tutto il proprio peso; per alcuni istanti si udirono scricchiolii sinistri e il corpo della vittima fu percorso da spasmi incontrollabili, poi - con un rumore secco di ossa spezzate e umido di cervella spappolate - il cranio scoppiò in mille frammenti. Uno schizzo di sangue arrivò a lordare la bianca maschera, ma lui non se ne avvide neanche. Sospirò, guardando il cadavere con aria di disapprovazione, poi andò a sedersi sotto uno smorto albero curvato dal peso delle precipitazioni. Il freddo pungente ne placò la furia e il suo corpo acquisì di nuovo forme umane, più consone per presentarsi al villaggio.

    Mentre il gelo lo avvolgeva, memorie dolorose riaffiorarono alla superficie.


    ~

    CHAPTER ONE
    - the old, the new, the beginning -


    Era il crepuscolo quando arrivarono.
    Sette figure ammantate di bianco avanzavano al centro della vallata, sulla riva del fiume che la attraversava da un capo all'altro. Il sole, alle loro spalle, affondava dietro l'orizzonte in un tripudio dorato, inquadrato tra gli opposti versanti montuosi che si fronteggiavano come giganti adirati; i suoi raggi obliqui, distendendosi nel bassopiano, accendevano riflessi danzanti sulle acque del torrente e barbagli di luce sui cumuli di neve semisciolta. Sopra il manipolo di uomini il cielo era un incendio di rosso ed arancio, con sottili striature rosa simili a lacrime di sangue che ne solcavano la superficie.

    Dædryl e Jeanne sedevano nella veranda della loro abitazione, una casupola isolata adagiata su un poggio ombroso. Il Thaumyr stava accarezzando distrattamente i capelli fiammeggianti dell'amata, la cui testa era adagiata sulle sue gambe, quando li avvistò. All'apparizione delle sette maschere bianche e apatiche si irrigidì da capo a piedi, mentre un brivido gli percorreva il corpo. Lei dovette avvertirlo, perchè aprì gli occhi socchiusi e li strizzò contro la luce del tramonto per scorgere i nuovi arrivati. Quando li riconobbe, un tremito di paura attraversò la sua voce.

    « Sono loro, vero? »

    Il giovane non rispose - non ce n'era bisogno. Si alzò, lentamente, lo sguardo appuntato sul primo del gruppo, che camminava un passo avanti agli altri. Per quanto i suoi lineamenti fossero occultati non aveva dubbi che si trattava di Ogarth, il suo antico e ormai rinnegato maestro. Si volse verso la donna cercando di infondere nella sua voce un senso di sicurezza che non aveva: « E' meglio che tu vada dentro, ora. » « Ma... » Provò a protestare lei, ma qualcosa nell'espressione di Dædryl la ammutolì; entrò in casa.

    « Dædryl. Che piacere rivederti. » La voce di Ogarth era intrisa di vecchiaia, ma non del tipo debole e malferma; era la vecchiaia delle conoscenze arcane, della vista di troppe sciagure per essersi mantenuta innocente, della corruzione che si è scavata la sua strada nel lungo volgere di lenti anni. « Non posso dire che per me sia lo stesso. » Il maestro sospirò, come si aspettasse tale risposta ma ne fosse rimasto comunque deluso.

    « Siamo venuti per riportarti sulla retta via. »

    Furono le ultime parole pronunciate quella notte da anima viva.

    Dopo, solo sangue, grida
    e silenzio.

    ~

    JYHKUS6


    Il villaggio non era altro che un manipolo di casupole e catapecchie addossate le une alle altre per proteggersi dal freddo, abbarbicate sul fianco di un rapido declivio. Sembravano gettate lì a casaccio, nel mezzo del bianco nulla, come un lancio di dadi sfortunato di una divinità annoiata. Sulla cima dell'altura svettava un imponente castello con due alte torri che incorniciavano la luna; l'aspetto maestoso della fortezza, però, veniva incrinato ad un'occhiata più attenta dalla rivelazione della sua decadenza: squarci aperti nelle mura, merlature interrotte e detriti pietrosi raccontavano una storia di anni di incuria. Sarebbe potuto passare per disabitato, se non fosse stato per le due finestre illuminate nel torrione a sinistra. Dædryl scrutò con interesse la roccaforte, ma alla fine optò per passare prima dal paese: aveva bisogno di informazioni tanto quanto di un pasto caldo da mettere sotto i denti, dopo la lunga marcia nella bufera. Era in forma umana adesso, e perfettamente in controllo delle sue facoltà; solo la chiazza di sangue ghiacciato sulla maschera tradiva la cruenta violenza di poc'anzi.

    La locanda sorgeva al centro del villaggio; al suo ingresso fu accolto dall'oste, un omone basso e tozzo con radi capelli neri e barba folta e scura: « Benvenuto, viaggiatore. Desideri un pasto caldo o anche un letto dove dormire? » « Entrambi, buon uomo. » Non sembrava che avrebbe combinato molto quella notte, per cui tanto valeva trovarsi un posto dove riposare. « Ma dimmi, che villaggio è questo? E chi abita in quel castello diroccato sopra l'altura? »

    Mentre lo accompagnava con sussiego al tavolo l'oste iniziò a spiegare: « Questo è Biancomonte, ma raramente i viaggiatori ne ricordano il nome. Per la verità non c'è nulla qui che valga la pena di essere ricordato, a quanto mi è stato riferito. Io non mi sono mai avventurato troppo oltre i suoi confini. » Rivolse un'occhiata fuori da una delle finestre, benchè si vedesse poco o nulla; « Il castello diroccato è lì da sempre e ogni luna che passa muore lentamente. Mio padre lo chiamava il castello delle Dita Mozze, ma dubito sia il suo vero nome. Per gli altri è solo il Castello. » Ridacchiò per un momento, poi riprese: « E anche se tutti i villaggi probabilmente ne hanno uno, ogni pidocchiosa anima in questo merdoso villaggio ti dirà che il nostro castello è Il Castello, il più grande di tutti. Così grande e bello, però, che nessuno di loro porta il suo culo peloso dentro per incontrare il Veggente. » Il locandiere abbassò il tono della voce e si sporse verso il giovane, con fare quasi da cospiratore: « Ci vanno solo i disperati in cerca di aiuto... e Yighen, » concluse indicando con un cenno del capo un uomo dai capelli rossi poco distante, appena alzatosi da un tavolo dove stavano anche un orco e un goblin.

    A sentir nominare un Veggente negli occhi di Dædryl si era acceso un lampo di interesse, celato dietro la maschera. Era in cerca di vendetta, il giovane, ma prima ancora della conoscenza e del potere necessari ad alimentarla e portarla a termine. E di certo, se di qualcuno si poteva dire che fosse disperato, quello era lui. Si voltò verso l'uomo dai capelli fiammeggianti indicato dall'oste, incuriosito. Non aveva tempo di aspettare la cena, voleva andare a parlargli. « Spillami due boccali di birra, oste. » Una volta accontentato raggiunse l'oggetto della sua nuova curiosità.

    « Yighen, giusto? » Esordì porgendogli un calice. « Ho sentito che sei familiare con il Castello e col suo ospite... » Dædryl lo studiò per pochi attimi, mentre l'altro faceva altrettanto e abbozzava un sorriso: aveva una leggera barba dello stesso colore della chioma, il volto pallido schizzato di lentiggini e occhi di un azzurro profondo, grandi, che conferivano al complesso un'insolita aria di innocenza. Sembrava molto giovane, ma allo stesso tempo dava l'idea di aver visto più inverni di quanti ne dimostrasse.

    « Dici bene due volte, straniero. Sono Yighen e sono familiare con l'abitante del castello. » Inclinò il capo, accettando il boccale. « E tu... ? »

    « Io no... non ancora. » rispose il Thaumyr, poi fece una pausa per sorseggiare un sorso di birra e lasciare che il significato implicito delle sue parole sedimentasse nell'aria tra di loro. « Il mio nome è Dædryl, e potrebbe interessarmi farne la conoscenza: sembra un soggetto interessante. Come te, del resto. » Inclinò il capo verso Yighen. « Perdona la mia sfacciataggine, ma da forestiero non posso che domandarmi che genere d'affari possano attirare un uomo tra quei ruderi diroccati. »

    Il rosso gli rivolse un altro dei suoi sorrisi mesti.
    « Questi ruderi mi hanno visto nascere, straniero. Mio padre è stato un grande cacciatore, e io sono cresciuto e ho visto la sua morte in questa pianura che nessuno osa abbandonare.» Fece una pausa per bere un sorso, poi continuò: « Ma capisco bene cosa intendi: i confini di questo luogo sono troppo stretti per un uomo che vede oltre tagli di carne e pellicce. Per questo io e l'abitante del castello vogliamo...cambiare le cose. » Lo fissò negli occhi con intensità. « Sei capitato in una notte fortunata. Le leggende dicano che sia l'unica notte all'anno in cui i miracoli possono accadere. » Abbassò lo sguardo nella bevanda, sovrappensiero.
    « Ma sono tutte puttanate da massaia, naturalmente. Non sono i miracoli che cambiano le cose, sono quelli come noi. »

    Per un attimo, a sentir parlare di miracoli, qualcosa dentro Dædryl si smosse, un desiderio irrazionale che lui in fretta ricacciò indietro. C'era magia in quel mondo, lo sapeva, ma non abbastanza da giocare con la morte. Non abbastanza potere per riportare indietro Jeanne. Ma forse a sufficienza per completare i suoi propositi di vendetta. Questo solo gli restava. I suoi pensieri e le parole di Yighen gli richiamarono alla mente il cadavere lasciato nella bufera, a congelare nella sua tomba di ghiaccio. « Notte fortunata, dici? » Chiese con lo spettro di un ghigno dietro la maschera. « Dipende da quale parte della lama stai. » In senso figurato, ovviamente, ma dopotutto lo stesso concetto valeva anche se applicato al piede che ti sta spappolando il cranio.

    « Ma dimmi di più: cosa possono fare, quelli come noi, in una notte come questa? »

    Yighen bevve un sorso, aggrottò la fronte, poi tornò a fissarlo.
    « Possono cambiare il futuro, se hanno le palle. » Socchiuse gli occhi, esaminando la macchia di sangue sulla maschera inespressiva.
    « E la giusta ricompensa ad aspettarli. »

    Dædryl abbassò lo sguardo al fondo del boccale: la birra era quasi finita e la conversazione stava andando avanti da troppo tempo per cenni e allusioni. In un momento imprecisato l'oste gli aveva anche portato uno spezzatino caldo che aveva mangiato quasi senza accorgersene, assorto dai discorsi del rosso. Decise che era il momento di scoprire le carte: « Yighen, hai qualcosa in serbo per me? » Domandò mentre aguzzava le sue capacità percettive, per sondare la sincerità e le intenzioni dietro le prossime parole dell'uomo. Il volto dell'altro divenne completamente inespressivo, perdendo la giovinezza che lo aveva caratterizzato a un primo sguardo.

    « Sto cercando dei compagni, straniero, anche se loro ancora non ne conoscono il motivo. Ma questa è una notte fortunata, e quindi perchè non dirtelo? »
    Una breve pausa, carica di trepidante attesa. L'Errante si fece ancora più attento, sporgendosi sul tavolo senza accorgersene, verso il suo interlocutore.

    Fu a quel punto che Yighen gli svelò ciò che aveva in mente.

    Dædryl sgranò gli occhi alla rivelazione. Era incredulo, eppure avvertì che gli stava dicendo la verità, per quanto non tutta. Del resto, ognuno ha i suoi segreti, lui lo sapeva bene. Quella missione avrebbe potuto risolversi in un buco nell'acqua, e in tal caso non avrebbe perso che poche ore - non aveva fretta. Ma sull'altro piatto della bilancia erano pesate conoscenze e potere straordinari, e un legame con quella sera, la sera in cui Jeanne morì. C'era una connessione, per quanto non sapesse definirla.

    « E allora forgiamo la nostra fortuna, stanotte!»
    Esclamò risoluto, alzandosi in piedi.

    « È una buona notte, sì -
    notte di spettri e di sangue.
    »



    Semplice post di apertura, con un piccolo flashback al passato del pg e la parte concordata in confronto. Ho terminato un poco prima perchè mi sembrava un buon punto in cui finire. Segnalo l'utilizzo della seguente passiva nel dialogo con Yighen:
    passiva ~ Passarono gli anni e il suo addestramento proseguì senza sosta, mentre Dædryl si mostrava un allievo tra i più dotati: tanto forti erano i suoi accessi di rabbia quanto ferrea la disciplina con cui li combatteva, fino a quando potè dire di avere raggiunto non solo un controllo pressochè perfetto delle proprie emozioni, ma anche sviluppato uno spiccato intuito per percepire quelle altrui: egli è infatti in grado di avvertire i sentimenti celati nel cuore di chi gli sta vicino e presentirne, seppur senza assoluta precisione, intenti e mire recondite. Saprà istintivamente se qualcuno tenta di ingannarlo nascondendosi dietro parole amichevoli, se quello che sembra un alleato sta invece tramando contro di lui, e così via.
    Per il resto, let's have fun!



    Edited by 'Alchimista del Drago - 22/2/2017, 23:49
     
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    Riempiti di bontà
    e
    raggiungi il Divino




    r-GROTTA-LUCCIOLE-large570




    Finalmente una taverna calda. Le bufere continuavano a perseguitare la mia vita e ogni volta portavano con se delle nefaste conseguenze.
    Le mie vecchie ossa dovevano trovare riposo velocemente all'interno della casa di qualche brava donna. Doveva essere una donna e non dovevo spendere troppi soldi per questo.
    Continuavo a vivere di elemosina e i soldi tanto più che per viveri e riposo li scambiavo sempre per utili informazioni.
    Circa venti monete d'argento, il clero non mi passava realmente una somma per mantenermi nonostante con forte ardore giravo di paese in paese per professare la loro fede.
    Il popolo mi sostentava e con la loro elemosina poteva tirare avanti.
    Qua avrei trovato gente volenterosa per aiutare un vecchio? O forse sarei stato io di aiuto per l'anima di qualcuno?
    Mi avvicinai all'oste, un uomo semplice la sua aura era limpida e quasi trasparente. Shantien l'asceso mi aveva dato questo dono, potevo vedere ciò che nel profondo del cuore fossero le persone, la loro natura, la loro verità ultima.
    Questo signore davanti a me cercava di sopravvivere all'avvenire e cercava il guadagno personale prima di tutto, senza temere di sporcarsi le mani.
    Quanti erano così? Anime del popolo le chiamavo. Eppure in lui c'era qualcosa che mi attraeva più di altri: un segreto celato.
    Posai due monete d'argento sul tavolo tenendo però le dita ben pressate su di esse così da impedire che potessero esser prese da terzi.

    "Oh, no, no. Queste monete non sono per il pasto. Tolto il fatto che sarebbe fin troppo rispetto al prezzo originale, ma spero che lei possa offrire un pasto caldo ad uomo del Clero che vive sulla bontà altrui. Queste sono per alcune informazioni vitali. Potrebbe dirmi una casa in cui posso passare la notte? Una casa in cui vi sia solo una donna, le trovo personalmente più sicure."

    Osservai la cordicella legata al collo.

    "C'era un vaso antico che conteneva tutti i mali del mondo, esso non doveva essere aperto, ma la curiosità dell'uomo era talmente tanta che non seppe resistere a quella tentazione. Da allora i mali affliggono questo mondo. Riconosco il mio peccato nel domandare che cosa apra e anche la mia umanità viene così snudata. Non è obbligato a rispondere a questa richiesta, ma una moneta d'argento verrà meno."

    Lunghi soliloqui, condizione normale per chi passa la sua vita a professare una fede.

    "Puoi dormire in una delle mie stanze se puoi pagare ancora una moneta, straniero. Altrimenti aspetta che scenda la sera e qualche puttana verrà a cercare uno che le offra la cena".

    I suoi capelli radi erano massaggiati dalla mano tozza, proporzionata alla sua corporatura media.
    La sera era vicina, come potevo attendere oltre per cercare un posto ottenere il "giusto" riposo.
    Alla mia domanda ricevetti risposte vaghe, mentre le dita dell'oste si spostavano ora sul mento e nella sua folta barba.

    "Un povero oste di un villaggio merdoso deve pur avere un magazzino dove c'è qualche merce interessante da vendere. Non si vive di aria e non sono abbastanza bello da invitarti a casa mia per farmi sbattere".

    Sull'ultima parte, be', con un barbone così, potremmo discuterne.

    "Be', la bontà dei cieli viene donata a chi è stato in grado di condividere. Informazioni estorte a caro prezzo per notizie non così importanti e neppure un pasto caldo ad un anziano viandante..."

    Avrei ritirato comunque una moneta d'argento e ne avrei lasciata solo una sul tavolo, più il prezzo della cena.
    Speravo in qualcosa di meglio, ma non potevo lamentarmi.

    "Se le camere hanno lo stesso rapporto qualità prezzo credo che attenderò qualche donna che possa badare ai bisogni di un'anziano."

    Questa affermazione poteva essere molto fraintesa, ma lungi da me fare cose sconce alla mia età. La malizia era negli occhi di chi guardava e le mie ragioni per trovare rifugio nel caldo letto di una donna o almeno nella sua dimore erano ben fondate.
    La mia attenzione venne attirata da un'aura candida. Un uomo rosso dai pochi peli, circondata da questo "manto" che era totalmente diverso dalle persone circostanti, era più intenso.
    Il colore ricordava il dorato. Era bella, era vivida e viva.

    "Lei, sento la sua bontà inondare questa taverna. L'Asceso mi ha concesso di scrutare il cuore degli uomini e lei potrebbe proprio essere un predestinato ad unirsi a lui."

    Mi sarei accomodato al suo tavolo chiedendo il permesso con un leggero cenno del capo.
    Con gioia avrei spinto del cibo nella sua gola fin che avrebbe esalato l'ultimo respiro. Se lo meritava. L'avrei riempito di bontà pari a quella che sprigionava. Forse era la sua sicurezza o la sua determinazione. C'era qualcosa di strano nell'aria lo percepivo.

    "Perdoni la mia rude presenza spero che non vi disturbi particolarmente. Vuole che le dica il suo futuro in cambio di qualche moneta per pagare questo mio pasto? O posso pregare per lei se si vuole avventurare in questa bufera."

    L'uomo posò la folta pelliccia che lo avvolgeva, la sua barba era molto più rada. Peccato. Era rosso, aveva così tanto potenziale sprecato.
    Eppure le lentiggini e gli inusuali occhi azzurri erano una manna dal cielo.
    Non potevo definirlo bello, ma mai avrei negato che fosse affascinante.
    Forse era quell'innocenza la sua vera punta di forza, quell'aria così pura, quell'aura così perfetta.
    La sua pelle liscia ricordava la gioventù, nonostante possa facilmente sospettare che abbia già trascorso quegli anni e quella fase della vita.

    "Non ho alcuna intenzione di affrontare questa bufera, straniero. E nemmeno di conoscere cosa mi riservi il domani. Ma se vuoi condividere il tuo pasto con me sei bene accetto".

    Fece un cenno del capo all'oste, con il quale evidentemente si conosce.

    "Oggi per me è una giornata fortunata".

    E ancora la curiosità si fece largo in me, era sempre così prepotente, così feroce che quando non ottenevo ciò che volevo ero pronto a spendere i pochi denari che possedessi.
    Ancor più il suo sguardo inespressivo che non lasciava trapelare felicità, oddio quanti misteri!
    Solitamente la fortuna era accompagnata da un sorriso, talvolta addirittura da brividi di gioia, voce concitata, eppure non era questo il caso.

    "Le sue parole dicono qualcosa, ma il suo sguardo e il suo corpo non sembrano essere in completo accordo. Viaggio per sanare le anime dai loro mali, se non a me a chi altri dovreste raccontare la vostra storia? Offro conforto e tutto l'aiuto che la mia fede può donare."

    E per le persone come lui, pure e limpide potrebbe anche esser un riposo eterno.
    Da lì in poi ricevetti ciò che avrebbe appagato la mia curiosità e mi sarei mosso verso la prostituta che mi avrebbe donato la protezione della sua dimora.
    Mi avvicinai a due donna, entrambe molto belle, una un po' più anonima e poi una donna formosa dai capelli rosso fuoco.
    Essi erano accompagnati da un temperamento deciso e un pugnale al fianco. Lei, lei era perfetta per il mio scopo.

    "Signore, giovani, anime pie. So che in avete il cuore ripieno d'amore e comprendete le difficoltà della vita. I soldi scarseggiano e devono essere usati con saggezza. Vivo di elemosina in cambio di doni di fede e vi prego ordunque di poter ospitare un povero vecchio nella casa di una di voi"

    Avrei atteso qualche conferma.

    "punto sì sulla vostra bontà e carità, ma altresì posso offrirvi delle confessioni per i vostri peccati oppure conforto come grande ascoltatore dei vostri problemi e che mai verrebbero proferiti ad altri.
    ...
    Mi posso accontentare anche di un piccolo tappeto e mezza coperta."


    La rossa pronta si fece avanti. Lo sapevo, conoscevo la sua anima forte.

    "Se hai qualche moneta di bronzo, vecchio, e ti accontenti della mia cucina, sei il benvenuto nella mia casa".

    Mi strizzò un occhio.

    "Non sono una cuoca, ma abito qui vicino e il fuoco è sempre acceso".

    Era perfetta! Ero salvo, le ero grato, infinitamente grato. Accettai subito.

    "La sua bontà è molto grande, lo vedo bene"

    Le sue curve mostravano quanto era vicina a Shantien. Neanche avrei dovuto usare le mie arti per poterla permettere di ascendere, già lei era stata autosufficiente in tutto. Che donna!
    Chissà se sarebbe stata in grado di donarmi anche informazioni importanti che avrebbero sanato la mia voragine di conoscenza. Molto volevo sapere sul rosso e molto appresi da queste fanciulle.
    Tutto era stato rivelato, tutto era ovvio, avevo la visione completa del mio futuro e di quelli che mano a mano entravano in questo strano vortice del destino.

    "Ankora ti zi alza vekkietto? Penzavo ke alla tua età i gioki fotzero belli ke finiti!"

    Il primo che dovessi avvisare.

    "Ecco un'altra vittima del destino. Mio caro, la mia fede mi basta per non aver più desideri carnali. Cerco conforto nelle case delle donne per motivi personali che son ben lontani dalle vostre maliziose frasi."

    Un sorriso avrebbe delineato ancor maggiormente le mie rughe profonde.
    Avrei appoggiato con fiducia la mia mano sulla spalla del goblin se egli non si fosse ritratto e con un cenno di capo avrei chiesto congedo dalla donna rossa ripiena di bontà e dalle curve rotonde.
    Con la mano gli avrei mostrato una sedia e un tavolo lontano da Yighen.

    "E' la sua serata fortunata"

    Dissi indicando distrattamente il baldo giovano con cui poco prima chiacchieravamo entrambi.

    "...e il futuro trema giovane compare. Mi prendo la briga di chiamarti così perché siamo sotto l'influsso di una potente profezia. Te lo dico come alleato perché entrambi siamo vittime di questo sortilegio. Siamo legati da un destino ancora oscuro alla mia vista.
    Il dubbio non ti consuma? L'ignoto che stiamo per affrontare?"


    Avrei sospirato

    "Altri arriveranno."

    Pochi scambi di parole per capire la situazione, ma ormai tutto era palese, così ovvio e strano. Qualcuno era morto e aveva creato tutto questo con la sua linfa vitale.
    Dovevo oppormi oppure assecondare la corrente, si poteva risalire a nuoto una cascata? L'unico conforto era il sonno che mi attendeva nella dimora della prostituta e lì mi sarei diretto per pensare.


     
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    parisooucc_zps6jkkln4i

    Ultimamente i suoi comportamenti da disturbo ossessivo compulsivo erano diventati molto più frequenti e con manifestazioni molto più evidenti. Riordinava alla perfezione i libri della sua enorme sala studio, nell'ala est della sua casa. Dal più piccolo al più grande, poi per numero di pagine, poi ancora per colore e infine, a ritroso, ripercorreva tutti i passaggi precedenti, utilizzando una classificazione decrescente. Non monitorava nemmeno più il comportamento dei suoi collaboratori, al punto tale da lasciar loro spazio in tutte le stanze delle quali il topo non faceva uso quotidiano: le aveva lasciate a loro come fosse in procinto di morire e fosse stato costretto a stilare la propria eredità nei confronti di coloro che, da sempre, non considerava che spazzatura utile solo a soddisfare il proprio ego. Il suo aspetto, già normalmente curato, era ora definito nei minimi dettagli; dalla lunghezza dei capelli all'abbinamento dei propri vestiti, dal bianco dei denti alla pulizia del viso. Tutto era in ordine. Più del solito, forse. La vita del topo era così ordinata che nessuno avrebbe mai potuto notare anche solo una minima sbavatura, un errore accidentale capace di rovinare il suo bel quadro. Doveva essere tutto perfetto, proprio come lui. Ma ciò non era bene, anzi.
    Pariston Hill, insomma, era tremendamente insoddisfatto.
    Non che il topo godesse di una stabilità emotiva tale da potersi definire felice, ma nelle ultime settimane aveva raggiunto dei livelli di depressione che raramente aveva visto percorrere alla propria psiche. Aveva provato ad uscirne; era diventato più violento nei confronti dei suoi collaboratori, ma la rabbia non faceva che peggiorare le cose, vista l'incapacità nel difendersi di questi. Insomma, il metodo catartico non aveva funzionato e con esso nemmeno le lunghe sedute di meditazione o la compulsiva attività sessuale. Nulla sembrava farlo stare bene, durante quelle settimane.
    Ancor più gradita, quindi, fu la voce che lo tormentò per i successivi due giorni. Inizialmente non riusciva a credere alle parole di quel forestiero, quando gli disse che avrebbe potuto risolvere quella sua spinosa situazione, se solo avesse fatto visita all'Oracolo. Dopo qualche giorno di tortura, però, sembrava essersi convinto.
    Per un secondo riuscì addirittura a sentirsi felice. O comunque provò ciò che chiamava felicità, a modo suo.
    Si mise in viaggio senza perdere tempo alcuno.

    {~~~}

    Proprio davanti a lui, stagliato nella notte oscura del villaggio, il Castello.
    Poco o niente era rimasto del suo antico splendore, ma a Pariston poco importava. Per la prima volta nella sua vita, si trovò a pensare che forse la funzionalità, in un certo senso, era ben più importante dello stile.
    Un pensiero fugace, che riuscì a scacciare dai suoi pensieri in pochi secondi.

    « Eccolo. »
    Il luogo dove finalmente verrò a conoscenza della ricetta per l'elisir della felicità.

     
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    T H E   O L D,   T H E   N E W,
    T H E   B E G I N N I N G


    C A P I T O L O
    I


    FPE8nW3



    I raggi pallidi della luna filtravano tra il fitto fogliame, permettendo di scrutare l’oscurità della foresta.
    Il frinire lieve degli insetti era il solo suono che rompeva il silenzio circostante.
    Tutto attorno, una distesa di alberi, ritti come una schiera di soldati dalla corteccia nodosa.
    Niente si muoveva, nessun respiro, neanche un alito di vento a scuotere le foglie;
    tutto era immobile,
    in placida attesa.
    A un tratto, un rumore, improvviso e inaspettato: zoccoli sul terriccio umido, che calpestavano l’erba, emettendo un lieve fruscio.

    Uno;
    due;
    tre;
    quattro passi.

    La luce lunare illuminò la figura: si trattava di un cervo, dalla corporatura robusta e delle imponenti corna che svettano verso il cielo. Camminava con andatura mite, allargando le narici mentre inspirava l’aria, cercandovi qualche odore sospetto. Le orecchie a punta si muovevano rapide, ascoltando per qualche secondo il canto degli insetti che lo circondavano. A quel punto chinò il muso, allungando il collo contornato da folta pelliccia, e cominciò a brucare l’erba sottostante.
    Tutto attorno,
    i m m o b i l e,
    in placida attesa.

    Scattarono come un solo uomo, talmente in fretta che l’animale non fece in tempo a risollevare il capo, che due grossi lupi gli furono addosso. Quello cercò di ribellarsi, scuotendo il corpo e cercando di colpire almeno uno dei suoi assalitori con le corna. Il movimento inconsulto sembrò funzionare e i lupi allentarono la presa, quel tanto che bastava per permettere al cervo di fare leva sulle zampe inferiori e scattare in avanti. Le due fiere gli andarono dietro, e non erano sole: mentre correva, il cervo poteva sentire il suono di altre zampe attorno a lui, che scalfivano il terreno nell'impatto della corsa. Continuò a correre a perdifiato, guizzando tra gli alberi, il cuore che gli batteva all'impazzata. I latrati delle bestie si facevano sempre più vicini, e per quanto cercasse di essere veloce, non riusciva a distanziarli abbastanza. A un tratto, da un tronco alla sua destra, balzò un grosso lupo grigio, che si avventò contro il cervo, le zanne scoperte alla ricerca della sua giugulare. L’impatto fu talmente forte che entrambi gli animali ruzzolarono sul terreno, mentre gli altri lupi raggiungevano la preda, prodigandosi a porre fine alla caccia. Non era più necessario: il morso e la botta erano stati talmente forti da spezzargli il collo, uccidendolo.

    Il lupo grigio si sollevò, mentre con la lingua si ripuliva il muso dal sangue fresco, scuotendo la pelliccia dai residui di terriccio e neve. I più giovani erano già chini sulla carcassa, desiderosi di dilaniarne la carne, ma sapevano di dover aspettare che fosse l’Alpha a procedere. Quello però era intento a scrutare il suo branco con attenzione, gli occhi che si stringevano man mano; arricciò il naso, scoprendo i lunghi denti.
    Ringhiò, e il resto del branco s’immobilizzò, spostando lo sguardo verso di lui, le orecchie distese sul capo e il muso chinato verso il terreno; quello però non li guardò, continuando a scrutare gli alberi attorno, cercando qualcosa.
    All’improvviso sollevò il volto verso il cielo, emettendo un sonoro ululato. Dopo qualche secondo, anche gli altri lupi si unirono al richiamo, riempiendo l’aria di quel canto.
    Solo il silenzio venne come risposta.
    Il lupo grigio si muoveva avanti e indietro, irrequieto, scuotendo la grossa testa come a scacciare un fastidio, mentre le unghie selciavano il terreno sottostante.
    Dov’era finita Lyrie?

    ~

    No, Lyrie non era con il suo branco.
    Sapeva che più tardi se ne sarebbe pentita: non si lascia il branco durante la caccia.
    Nonostante questo imperativo, era consapevole che la sua posizione le consentiva comunque certi privilegi, e uno di questi era non essere sgridata troppo duramente quando i suoi comportamenti non rispettavano in pieno il volere dell’Alpha.
    Era ancora giovane per prendersi totalmente carico delle sue responsabilità, e ne avrebbe approfittato finché avesse potuto.
    In realtà, era sua intenzione seguire il gruppo. Mentre setacciava il lato esterno della foresta, la sua attenzione era stata catturata da un dettaglio improvviso.
    La luce della luna, imprigionata da una coltre di nuvole, non era ancora abbastanza alta sul cielo, ma sostava sopra uno stabile lontano, al centro esatto delle sue due torri.
    Ciò che la colpì, era che il riflesso del bagliore dava alle mura un aspetto insolito, come se fossero ricoperte d’argento, talmente risplendevano di luce propria.
    Rimase immobile per diversi secondi, rapita da quella immagine peculiare, l’iridescenza della struttura che brillava così vivida nella notte.
    Era consapevole che ogni secondo che tardava nel raggiungere il branco le sarebbe valso minuti interi di urla e rimproveri, e non sentiva l’urgenza di anticipare quel momento.
    Del resto il suo destino era già segnato, per cui che differenza poteva mai fare un minuto o un’ora?

    Si mosse incontro al castello come tirata da fili invisibili, talmente forte era il richiamo della curiosità.
    Man mano che si avvicinava, iniziò a distinguere poco lontano dal sentiero percorso un agglomerato di luci, probabilmente il feudo appartenente al castello. Decise immediatamente di allontanarsi dall’area circostante, onde evitare il contatto con qualsiasi essere umano. Ciò che voleva era poter osservare meglio quelle strane mura, e quello che nascondevano.
    Arrivò di fronte al palazzo, dall’aspetto molto più diroccato di quanto la distanza facesse intendere. La pietra da cui era circondato aveva un aspetto ben più ordinario adesso, ma nonostante questo ne rimase affascinata. Non le era mai capitato di osservare una costruzione simile, così regale e mastodontica, ed esercitava in lei una curiosità primordiale, come se si trovasse di fronte a uno specchio di un'altra vita, opposta a quella che aveva condotto fino ad ora.
    Alcune stanze del piano terra avevano delle fenditure nelle pareti, talmente ampie da consentire facilmente l’accesso al loro interno. Dopo una veloce occhiata attorno a sé, decise di intrufolarsi. L’interno della camera era cadente e malridotto quanto l’esterno: il mobilio presente era per lo più sfasciato, o consumato dai tarli, che ne avevano reclamata la proprietà. Cominciò a percorrerne la lunghezza, tastando il legno cadente, sfiorando le poche stoffe sopravvissute al saccheggio: era successo qualcosa in quel luogo, ben lungi dalla sola morsa del tempo. Eppure c'era stato un momento in cui quel palazzo era un luogo sfarzoso ed elegante, perché gli abiti e i tessuti rimasti erano evidentemente di fattura pregiata, con gli orli impreziositi da ricami in oro, e talmente morbidi al tatto da desiderare farne un giaciglio.

    All’improvviso si sentì strana: avvertì una sorta di pizzicore dietro la nuca, la sensazione di essere sul punto di ricordarsi qualcosa, ma cosa? Strinse gli occhi e si sfregò il viso con forza, come per cacciare quel sentore. Si guardò attorno, improvvisamente preoccupata di essere osservata; prese a inspirare a fondo, come un segugio che fiuta gli odori circostanti. Quel veloce studio portò i risultati sperati: c’era qualcuno, in quel castello, qualcosa di vivo, seppure ancora lontano da lei.
    La mente lavorò rapida, vagliando le sue possibilità: poteva scappare e ritornare alla foresta, o poteva proseguire l’esplorazione e capire che segreto nascondesse quel luogo tanto insolito. Non riusciva a spiegarsi cosa la spingesse così, se fosse semplice curiosità o il piacevole diversivo di essere sola, un individuo unico, e non più solo una parte di un tutto.
    Sapeva però che non avrebbe lasciato stare così facilmente.

    Si avvicinò alla porta di legno, da cui penzolava inerme la maniglia, e la scostò lentamente dal suo uscio, fino a creare lo spazio necessario per infilarsi nel corridoio adiacente. Tutto l’ambiente era avvolto da buio e silenzio, l’unico suono che la accompagnava era il suo stesso respiro. A distanza regolare c’erano diverse porte, ma le ignorò; man mano che proseguiva, tornavano più persistenti il formicolio sulla nuca, e quel delinearsi di un ricordo che non riusciva ad afferrare. Avanzò con decisione, fino ad arrivare alla fine dell’andito, sbucando nell’ampio ingresso del castello.
    Il suo sguardo si perse nella sala, risalendo verso il soffitto, che copriva almeno tre piani dell’edificio. Mentre era intenta a studiare l’ambiente che la circondava, con la coda dell’occhio le sembrò di vedere qualcosa, o meglio, q u a l c u n o, a pochi passi da lei. Si voltò immediatamente, compiendo un piccolo balzo sul posto per quanto in fretta irrigidì tutti i muscoli, ma non vide nessuno.
    Dai fitti tendaggi poco distanti filtrava qualche lieve raggio di luna: che fosse stata la luce a farle qualche scherzo?
    Pensierosa, e ancora di più guardinga, si avvicinò all’ampia finestra, scostando il pesante tessuto per poi guardare oltre il vetro.
    Intanto che lo sguardo si perdeva nella pianura sottostante al castello, totalmente innevata, un rumore improvviso alle sue spalle la destò da qualsiasi riflessione, facendola ripiombare nel presente in tutta fretta.
    Gli occhi si mossero fulminei e vide un uomo, avvolto in un pastrano di pelliccia, entrare da portone principale, seguito da altri individui di cui riuscì a distinguere solo le voci e il rumore dei loro passi.
    Cercando di essere rapida quanto silenziosa, s’infilò dietro la tenda, coprendo la sua figura alla vista, e s’immobilizzò completamente contro la parete adiacente alla finestra, implorando tra sé di non essere stata notata.
    In che diavolo si era cacciata?


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    I couldn't find quiet
    I went out in the rain
    I was just soakin' my head to unrattle my brain
    Somebody said you disappeared in a crowd
    I didn't understand then
    I don't understand now

    FgRDmeF



    Chiudo gli occhi e sei con i gomiti sul davanzale a guardare dalla finestra, con quel viso un po’ inclinato che sembra nascondere un segreto tra la guancia e la spalla e con le labbra appena socchiuse, come se nel mezzo fosse stato piantato un seme ancora non fiorito.
    Nello sguardo brilla l’ultima luce del pomeriggio e la tua pelle guadagna il colore che il cielo ha perso, diventa luminosa, una perla preziosa da sfiorare lentamente con il desiderio. Con le dita lunghe ti carezzi sul collo e sai che non riuscirò a guardarti per un altro secondo. È allora che ridi lievemente e mi fermi il respiro tra il petto e l’anima, in quel posto segreto e tiepido che vorrei ti appartenesse.
    Chiudo gli occhi e sei in mezzo alla stanza con le braccia aperte che stai raccontando qualcosa di impossibile da ricordare, ma grande quanto la luce che ti brilla nello sguardo, anche se le tue parole non sono davvero importanti, neppure per te. E ruoti su te stessa, forse perché vuoi abbracciare le pareti o forse perché sai che la stoffa ti si avvolge attorno come il vento sui tronchi sottili dei pioppi. E io guardo le tue punte delle dita arrossate, la risata che diventa irregolare, che schiamazza sotto i piedi, che cerca una via di fuga contro le mie spalle. Il tuo fiato di quando ridi troppo forte e non riesci a fermarti.
    E di quando piangi, per motivi frivoli, per motivi terribili. E io credo di doverti consolare, e non mi importa se ne vale davvero la pena. Perché mi piace il contatto con la tua pelle e con le tue lacrime. Le asciugo con gli stessi polpastrelli con cui posso carezzarti, stringendo in un’occhiata di compassione il mio segreto inconfessabile, soffocandolo nelle piume del tuo sorriso. Nasce presto, sai, tanto presto che non so davvero se tu abbia mai pianto, e mi trascina con i tuoi movimenti un po’ eleganti e un po’ goffi. Con i tuoi sorrisi alla finestra, quando non sai nemmeno tu sei vuoi essere bella o distratta o semplicemente te stessa.
    Chiudo gli occhi e cerco di imprigionarti dietro le palpebre. Ma l’unico risultato è che non riesco ad aprirle, come una prigione di cui non ho più la chiave.
    E tu dove sei?


    ....

    ZvSWL1u


    Il bambino con i capelli rossi si affaccia sulla porta e il gelo gli graffia le guance, spingendolo indietro. Alle sue spalle, nella cucina, il rumore del fuoco e del mestolo contro il pentolone, l’odore acre della carne. Davanti a lui, nella neve, le orme di un uomo che riparte, orme grandi in cui gli piace giocare. Fa qualche passo, giusto per provare come sia, per guardare la porta immaginando di andarsene, di diventare un eroe.
    La pelliccia è troppo grande e gli striscia sulle caviglie come un mantello. Le voci degli uomini sono lontane e lui è solo nella neve, dentro il paese, ma fuori dalla cucina. Si sente minuscolo. E solo. Sua madre è solo a pochi passi, ma lui per la prima volta afferra quella sensazione tremenda che non aveva provato mai, ed è come se nessuno lo stesse aspettando, come se quelli con cui guarda fossero gli occhi di un altro.
    Il suo piccolo cuore di bambino, un cuore che non sa nulla, ha un fremito segreto dettato da un istinto più antico dei suoi pochi anni. Capisce molto più di quanto saprebbe esprimere a parole e la paura gli fa rizzare tutti i peli del corpo. Le orme nella neve, improvvisamente, hanno la forma di una tomba, una piccola tomba in grado di contenerlo. Spalanca la bocca, lasciando che la brina congeli il suo urlo.
    Il bambino con i capelli rossi si affaccia sulla porta, la bocca spalancata e le mani davanti al viso, a nascondersi da chissà quale terribile minaccia.
    Sua madre alza la testa dalla grande pentola, in cerca di segnali di pericolo che non trova. Dopo tutto sono nel villaggio, e gli uomini sono ancora abbastanza vicini. Si stringe nelle spalle, larghe come i fianchi, corpo di una giovane donna che potrà avere molti figli sani. L’uomo che attende tornerà presto, un uomo più vecchio ma nemmeno troppo, e insieme si scalderanno e daranno alla luce un nuovo erede. Avrà i capelli rossi.
    Il bambino sbatte le palpebre, trattiene il fiato, si gratta il naso da cui cola muco gelido che gli scivola nella bocca. Davanti a lui, nella neve, le orme presto saranno cancellate. Si guarda attorno, improvvisamente attento, un piede sull’ingresso e uno che tasta perplesso la strada nascosta dalla tormenta.
    Alza lo sguardo e incontra quello di un altro. Occhi in occhi di ghiaccio, l’altro lo fissa e gli rivolge un mezzo sorriso. Non si parlano, ma il bambino resta calmo. Entrambi sanno, ma non si parleranno ancora per molto, perché nessuno dei due ha abbastanza parole, perché molto deve ancora succedere, perché per spiegarsi dovranno prima affrontare il dolore e la paura, la morte. Il bambino dovrà sporcarsi le mani molte volte prima di poterle usare per maneggiare la verità.
    Si fissano e la neve copre le orme e l’uomo con gli occhi che sembrano di ghiaccio alza una mano in segno di saluto e si allontana.
    Il bambino con i capelli rossi chiude la porta. Non pensa che sarà per la prossima volta, non pensa proprio niente. Dopo tutto è solo un bambino.


    ....

    Probabilmente, in una stanza davanti a uno sconosciuto potenzialmente pericoloso e circondato dal più grande mistero del mondo, un uomo qualsiasi se la starebbe facendo addosso. Uno più sentimentale contemplerebbe il mistero del rischio affiancato da quello della conoscenza e si chiederebbe se sia davvero questo il senso della vita. Un eroe sarebbe già pronto a combattere perché, fondamentalmente, tutti gli eroi hanno la testa vuota.
    Ma lui, con le dita sporche di inchiostro, si limita a sfoderare un sorriso che sembra saperla lunga. Invece è il classico sorriso da faccia di culo di chi non ha nessuna intenzione di parlare. Lo ha usato tante volte. Il sorriso. E il culo.
    Ok, era volgare. Chiedo perdono.
    Ma insomma, c’è la luna piena, non è una notte come le altre, è una notte fortunata. O almeno è questo che pensa la gente del villaggio. Lui pensa che è l’unica notte in cui gli danno un po’ di pace in tutto l’anno e invece di passarla a farsi i fatti propri gli tocca aspettare visite. Anticipate, addirittura.
    Nasconde il mezzo sospiro di disappunto, il quarto di sospiro che vorrebbe dare a quella notte un finale diverso e si dice che non ha più il fisico. Ma non è vero, non con quello smilzo che ha davanti. Quello, parliamone, quello potrebbe spartirlo a metà con un colpo di
    Ok. Era volgare. Ma ditelo a lui, insomma.
    Certo è che sta aspettando e inizia ad essere impaziente, perché dopo il sorriso saputello non sa bene cosa altro sfoderare.
    Ma per fortuna, anche se lui non lo sa, la porta principale si è aperta. Benvenuti a casina, se solo ci fosse qualcuno ad accoglierli. Invece c’è solo questo posto abbandonato, e non perché a lui piaccia che sia così, ma semplicemente perché tra i suoi numerosi e poliedrici interessi non c’è mai stato quello per la pulizia. La società è degradata, la società è povera and blabla. Quindi finchè ha due stanze in cui vivere e una in cui attendere gli ospiti, le cose possono continuare come sono.
    Ora so cosa state pensando: che quello che arriva è il suo “compagno”. Ma non scherziamo, fa quasi venire da ridere. Vi pare che i luoghi comuni sui rossi siano sempre veri? E anche se lo fossero, in ogni caso, quello che sta arrivando non è il suo genere. Lo è più quel magrolino, ma dubita che farebbe in tempo a far qualcosa, nonostante non sappia che gli altri sono già entrati.
    E quindi nulla di fatto. Ma immagino sia molto meglio così per tutti.



    ¬ Qm Point


    Che dire miei piccini 83?
    Ognuno prosegue da dove era arrivato, chi in gruppo chi no (magari quelli che sono in gruppo all'ingresso aspettino me in confronto).
    Avete qualche nuovo elemento.
    Tutti, compresi quelli on gruppo, volendo possono sfruttare il confronto privato per qualsiasi cosa èwé.




    Edited by Majo_Anna - 8/3/2017, 21:25
     
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6 replies since 11/2/2017, 10:34   164 views
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